Arezzo a tavola


Arezzo a tavolaDicono che ad Arezzo le galline facciano le uova d’oro. Ma il discorso non riguarda la cucina, è chiaro, bensi l’economia. Nessun’altra città, in Toscana, negli ultimi trent’anni, ha registrato i progressi di Arezzo. E non solo perché ha sempre avuto qualche santo in paradiso ma soprattuto perchè, dopo essere risorta dalle macerie della guerra ed avere cominciato letteralmente da zero, la città cara ad Amintore Fanfani ha giocato bene le sue carte. Sappiamo quali. L’industria delle confezioni e l’industria dell’oreficeria. Oggi Arezzo è la capitale italiana dei metalli preziosi. Aggiungiamoci l’input commerciale dei traffici dell’autostrada, il flusso turistico a breve termine legato a Piero della Francesca, le fortune del mobile antico e moderno e dobbiamo convenire che, rispetto a quattro, cinque generazioni fa, allorchè la provincia aretina campava sull’agricoltura, sull’industria delle bullette da scarpe di San Giovanni Valdarno e dei cappelli di Montevarchi, il salto in avanti è stato gigantesco. E la cucina?
Quella è rimasta su livelli artigianali e di tutta la Toscana è la meno brillante, la meno sviluppata.

Ciò non significa che ad Arezzo e nelle sue stupende valli si mangi male, tutt’altro, ma sia in città che nella provincia la cucina non ha connotati precisi e tantomeno affascinanti. Intorno ai fornelli aretini c’è molto torpore. La temperatura è assai modesta. Nel locale più accogliente di Arezzo ho sentito con le mie orecchie il proprietario declamare, con un misto d’orgoglio e di nostalgia: ” Da me veniva sempre il commendatore!”. Ad Arezzo il “commendatore” è stato (ed è tuttora) Licio Gelli. Scoprire che il mentro qualitativo della ristorazione di una città è costituito da un cliente come Licio Gelli fa cascare la braccia. Eppure l’Aretino ha delle risorse che altre zone non posseggono. Ne basti citare una: gli allevamenti superstiti, in Toscana, dei vitelli di razza chianina. Non c’è carne migliore di quella chianina, ben trattata e ben frollata, per la pietanza numero uno della cucina toscana, la più elementare, ovvero la bistecca. Ma ad Arezzo e dintorni non ho mai trovato, sul menù du un ristorante, l’offerta di una autentica bistecca chianina. Sarebbe sufficiente per richiamare i buongustai e farne parlare critici, guide e riviste.


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Commenti (0) | January 28, 2010

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